Vivere la periferia di una grande città non è un’impresa
facile.
Si è veramente in tanti, chi è nato e cresciuto da sempre
qui, chi ci è arrivato, magari da un altro paese, chi si è sposato e ha messo
su casa vicino al lavoro, chi è rimasto solo ed è stato contretto a trovare una
soluzione più piccolina. Ma poi le vere esigenze sono sempre le stesse,
servizi, strutture, per lo studio, per il lavoro, per il divertimento, mezzi di trasporto
rapidi e la possibilità di sentirsi circondati da un ambiente gradevole e
sereno, fatto anche di spazi verdi e aperti. Sono tutti compiti dello Stato,attraverso i suoi Consigli di
zona, indubbiamente, ma le protagoniste che creano la vera differenza sono
comunità spontanee, volontarie, costituite dai non più giovani che nel loro
quartiere credono e desiderano mantenerlo sempre vitale. Ecco quindi mille
iniziative, lo sport e la musica per i giovani, e ancora teatro, arte, pittura,
poesia per ogni età. Mi sono avvicinata a Quarto Oggiaro, Villa
Schleibler, l’Associazione Artistica Sirio, l’Associazione Quarto Oggiaro
Vivibile, sono fatte da persone
splendide che investono la maggior parte del proprio tempo in questo progetto.
Ecco quindi una delle mie ultime creazioni
Il quadro con cui
ho partecipato al Concorso di Pittura ” Una finestra sull’arte” organizzato dal Gruppo Artistico Sirio e concluso negli Spazi del Portello in Piazzale Accursio . Il dipinto è proprio
in onore della “Street Art”
Due racconti ispirati alle periferie, uno mio e
uno di Alfredo Maggi, con i quali abbiamo partecipato al concorso
letterario indetto dall’Associazione
Quarto Oggiaro vivibile
A CASA DA MIA NONNA di Angela Aruta
La casa popolare dove ho vissuto c’è sempre, al posto delle biciclette ci sono belle macchine parcheggiate davanti al marciapiede, la gente che entra ed esce è giovane, spesso non italiana, hanno messo il citofono e mi sembra che la portiera non ci sia più, ma in lontananza, nel giardinetto, vedo ancora dei bambinetti ridere e correre felici.
Il circo di Alfredo Maggi
La guerra era finita da una decina
di anni, ma erano ancora lontani i tempi dell’abbondanza, l’Italia stava
rinascendo faticosamente, ci si accontentava di poco, e il ricordo delle privazioni e della fame
era ancora vivo. Ma per noi bambini “quel poco” , un po’ ingenuo e un po’
provinciale, ce lo saremmo ricordati per sempre. Un paio di volte all’anno, proprio
nei prati a poche decine di metri da casa mia, piantava le tende un circo. Era
un piccolo circo beninteso, un circo di periferia. Era sempre mio nonno che mi
portava, nei posti più in alto, perché costava un po’ meno, ma si vedeva bene
lo stesso. Il circo organizzava una gara tra
gli spettatori. Si doveva mangiare un piatto di spaghetti con le mani legate
dietro la schiena. Chi vinceva si portava a casa un salame. Alla gente non
pareva vero. Già dal pomeriggio si radunava una piccola folla di gente che
voleva partecipare al gioco. Ma pochi ci riuscivano perché la gara era
riservata solo a sei persone e si diceva che c’era chi si prenotava anche un anno prima. A
chi protestava perché era stato escluso rispondevano che quello era uno
spettacolo, non una mensa dove si poteva mangiare a sbafo. Il circo, non aveva bestie feroci,
i leoni o le tigri o animali così. Costavano troppo. Allora, una volta, si sono
inventati un numero bellissimo con un
ammaestratore di mucche, sì mucche, bovini. Per la verità, quando sono entrate,
sembravano piuttosto perplesse, ma lui, Pedrito, così si chiamava, cominciò a
farle trotterellare tutto intorno all’arena una dietro l’altra facendo roteare
la frusta come un vero domatore professionista. Senonchè, ad un certo punto le
mucche, forse perché non ancora ben impratichite di questo nuovo lavoro o forse
perché sindacalmente stizzite dall’essere state demansionate e rimosse dalla
loro attività di sempre, cioè fare il latte, si sono ribellate apertamente.
Prima si sono bloccate guardandosi intorno circospette. Poi si sono messe a
correre disordinatamente muggendo in modo inquietante e cercando addirittura di
saltare la staccionata per buttarsi sul pubblico. Fuga generale dalle prime
file, con i bambini che ridevano come pazzi e che non volevano uscire mentre
venivano trascinati fuori dalle loro madri urlanti. I pagliacci tentarono un
intervento disperato cercando senza successo di pararsi davanti alle mucche per
fermarle ma scappando poi subito a gambe
levate verso la staccionata. Pedrito, incurante del pericolo,
era immobile in mezzo all’arena, con le braccia alzate, guardava verso il cielo
come ispirato e gridava “hop hop hop” come se non stesse succedendo niente,
come se le sue mucche stessero ancora girando placidamente intorno a lui. Io, al sicuro nelle file più in
alto, ero paonazzo dalle risate e mi aggrappavo al seggiolino, avrei voluto che
non finisse mai, ma l’altoparlante salutò entusiasticamente il pubblico e
annunciò che lo spettacolo era finito lì. Quando, sei mesi dopo, il circo è
tornato, mio nonno mi ha chiesto se volevo andare. Io gli ho domandato se c’erano
le mucche. Mi ha risposto che non c’erano più. Il numero l’avevano cancellato a
causa di quello che era successo.
Allora gli dissi : “Non andiamo
nonno, senza le mucche il circo non è un vero circo”.