lunedì 9 febbraio 2015

Turner e … la rivincita degli Acquerelli




Sono andata finalmente al cinema a  vedere TURNER, il film tanto atteso sul grande schermo.

Scaturito dall’intuizione di Mike Leigh e  già candidato in competizione per quattro Oscar, sicuramente per la migliore fotografia e per la migliore colonna sonora, questo film ci avvolge a 360 gradi nell’atmosfera britannica dei primi dell’800. Scorci fotografici di incredibile impatto scenico ci raccontano i  paesaggi più intimi dell’Inghilterra, della Scozia e del Galles.  Vestiamo i costumi di questa gente, non bella di lineamenti, gote arrossate dal freddo e dall’alcool e dalla salsedine, fattezze un po’ sgraziate di  donne contadine, schive e timorose. E lui, Joseph Mallord William Turner,  già cinquantenne, in una cornice indubbiamente eccentrica ma anche profondamente gretta e materiale.  E’ un uomo che non ti ispira affetto, ti respinge,  ti ferisce nella sua incapacità di sensibilità e amore umano, servito dal vecchio padre rimasto solo e malato e dalla sguattera di casa, segretamente innamorata di lui ma usata unicamente per sporadici bisogni sessuali, in guerra continua con la compagna che gli ha dato due figlie e che lui continua caparbiamente  a non voler riconoscere. E’ un uomo vitale solo quando infila il suo pastrano ed esce, con la sua valigetta di pelle lisa a tracolla contenente il suo taccuino. Sembra riuscire a respirare solo fuori di casa, quando può abbracciare con lo sguardo le montagne, il mare, quando stringe gli occhi per scrutare il cielo e coglierne i cambiamenti di luce, i temporali, i venti, le nebbie. Con la sua penna in mano annota velocemente i suoi  schizzi, anche i suoi appunti e le sue considerazioni, sino a che questo taccuino diventi per lui non solo un brogliaccio di pittura ma un vero diario. In questo sembra assecondarlo la signora Booth, una vedova che gestisce una pensione al porto e con la quale Turner intreccia una relazione. Solo in queste scene d’interno e solo con lei Turner riesce a comunicarci  un’immagine di “normalità affettiva”.
Lo vediamo entrare all’Accademia, dove è da tempo riconosciuta la sua genialità pittorica e il suo stile innovativo, da tutti ad esclusione  forse solo della regina Vittoria che detestava la sua arte, ma si coglie anche, in quei saloni invasi di quadri, un certo qual motto di intolleranza verso questo personaggio che diventa sempre più scomodo ed incomprensibile.
Splendide le inquadrature sui suoi quadri, infuocati, abbaglianti in questa continua ricerca della luce sempre più vicina alla perfezione e all’eternità, testimoni di questo rapporto drammatico con la natura in tutte le sue manifestazioni.
Pare sia stato proprio l’obiettivo del regista a portare alla massima evidenza questa capacità di produrre arte eterna da parte di un essere terreno, comune mortale immerso nella sua rozzezza.
Il film è finito e molte sono le immagini e le sensazioni che mi restano: indimenticabile la scena della locomotiva che avvolge l’orizzonte con il suo vapore, la sagoma di Turner legato all’albero di prua della nave per osservare dal vivo l’uragano, lo stupore davanti alla prima macchina fotografica, la superba interpretazione di Timothy Spall e di tutte e due le protagoniste femminili. Eppure  il film mi lascia … insoddisfatta… con l’acquolina ancora in bocca.

Non mi è piaciuto quest’uomo e  ho potuto solo intuire l’incanto della sua arte. E troppi particolari sono rimasti senza risposta. Qual è stata la sua vita prima di questa pagina raccontata? Qual è stato il suo percorso artistico e le sue altre opere prodotte negli anni precedenti, ad esempio i suoi splendidi acquerelli? Ho potuto capire da questa pellicola quanto la pittura di Turner sia andata oltre, avanti di anni e anni  dalle tematiche della sua epoca? Forse non ti poni queste domande dopo un film qualsiasi, ma sono doverose quando entri in un contatto  così ridotto con un pittore di queste dimensioni.
Allora ho sentito il desiderio forte di approfondire la conoscenza di questo grande pittore, del suo percorso di vita  e soprattutto della maturazione della sua storia artistica, cosa che nel film, purtroppo, è solo accennata.
Nasce a Londra nel 1775 e solo a 14 anni è già iscritto e ammesso alla Royal Academy of Arts.
Il padre che gli rimase vicino sino alla morte faceva il barbiere da giovane e soffrì  terribilmente per la morte della figlia secondogenita e la conseguente malattia della moglie che la portò alla morte dopo 5 anni in manicomio. Forse questi gli indizi per interpretare la depressione che finì per colpire anche Turner nella sua vecchiaia.
A 21 anni Turner aveva già esposto un lavoro a olio all’Accademia, l’anno prima aveva presentato un acquerello, suoi coetanei del periodo erano nomi come Constable,  Cozens per gli acquerelli , Winson e il ritrattista Gainsborough.  In seguito potè sempre disporre di adeguato benessere economico, a tal punto da rifiutare in vecchiaia un’offerta generosissima per l’acquisto di tutte le sue opere. Ammirava da giovanissimo la pittura di Claude Gelleè (detto Lorrain), pittore del 1600 vissuto molto a Roma e fautore del paesaggio classico.   
Turner viene definito un pittore romantico, paesaggista  e decisamente preimpressionista. Fece sue le linee guida della Teoria dei Colori di Goethe.  Si è guadagnato il titolo di pittore della luce, e la ricerca continua di questa luce, nel cielo e nell’acqua, emanazione divina e spirituale,  lo accompagnò tutta la vita.

Bravissimo acquerellista, in una Inghilterra che sapeva apprezzare moltissimo questa tecnica pittorica considerandola l’arte nobile per eccellenza, sosteneva che la carta bianca dell’acquerello aiutava la luce ad esplodere. E probabilmente solo lui ha saputo sfruttare così sapientemente la tecnica delle velature per accendere di luce e colore i suoi acquerelli, che diventeranno spesso spunto per successive opere ad olio o per acquerelli di dimensioni più importanti. E la critica che qualcuno gli mosse, vale a dire di non curare correttamente il particolare del primo piano, diventa oggi il punto di forza della sua pittura che riesce a preannunciare l’espressionismo e l’astrattismo degli anni 50’ e 60’ del nostro secolo scorso.
Fu proprio un famoso collezionista dell’epoca, Thomas Monro,  ad aprire le porte della sua casa ai giovani acquerellisti di talento, tra i quali proprio Turner. E se in un primo periodo utilizzò gli schizzi di altri per dipingere paesaggi italiani, ben presto iniziò a viaggiare, passione che gli rimase negli anni.  Nel 1819 già esponeva alla Royal Accademy di Londra e nella sua Galleria privata di Harley Street. E proprio nello stesso anno, 1819, organizza  il suo primo viaggio in Italia, durato poi 6 mesi. Venezia, Roma, Torino, Verona, Pompei, Como. Turner è inebriato dalla brillantezza di questa luce italiana di Mezzogiorno e qui inizia la sua autentica ascesa verso la luce.

E’ velocissimo nel dipingere. Stende larghe pennellate di colore, bagnato su bagnato, per rifinire solo dopo con il disegno e i  particolari. Dicono che abbia riempito 23 album di acquerelli solo in Italia. Ed è proprio la conoscenza del paesaggio italiano a segnare la svolta  della sua maturità pittorica, a spingerlo ad usare colori quanto più luminosi e  aranciati, per cogliere la luce, il riverbero del sole  riflesso nel cielo e nell’acqua.
Sarà poi la morte del padre nel 1829 a marcare l’inizio  della forma depressiva di Turner. Le sue ultime opere vengono definite un delirio senza autocontrollo, ormai non ha più bisogno di dipingere particolari riconoscibili ma imprime solo macchie di luce e di colore.   



E adesso mi voglio rivedere bene i quadri, gli acquerelli e gli olii, i disegni e le incisioni, tantissime e bellissime immagini, da assaporare ad una ad una.








                   


E , per chi è curioso, ancora tante possibilità di approfondimenti su questo Artista. I link qui sotto sono alcuni assaggi:


http://italpag.altervista.org/9_c_romanticismo/capitolo_1.htm